“Il terzo tempo cresce in squadra”

Samuel “ragazzo difficile” esce dal carcere minorile per l’ennesima volta ed è affidato a Vincenzo assistente sociale che sta vivendo un momento personale difficile ritrovatosi vedovo e con una figlia adolescente. Un rapporto difficile o meglio un non rapporto si innesca tra i due, ognuno arroccato nel proprio dolore e non disponibile ad un incontro reale. Infatti comincia una sfida a chi cede e svela per primo se stesso all’altro rendendosi disponibile; insomma manca in ciascuno dei due la capacità e volontà di mostrare la propria autenticità all’altro (i propri sentimenti, le intenzioni e pensieri) per creare una relazione.

Inizialmente Vincenzo fa il suo “mestiere” ed infatti come da prassi trova a Samuel un lavoro da bracciante in un’azienda agricola; un lavoro che il ragazzo odia così come il rugby che invece è la passione di tutti quelli che lo circondano primo fra tutti dell’assistente sociale ex giocatore ed allenatore di una squadra che rischia la retrocessione. In una situazione che non ha scelto e non riesce a capire, Samuel è ancora solo con se stessoe rifiuta di farsi aiutare. Vincenzo dal canto suo non si sforza neanche di andargli incontro ed è così che il ragazzo di nuovo si mette in una condizione che sa lo porterebbe indietro in carcere.

Ma Vincenzo ad un certo punto pare recuperare il suo ruolo adulto e gli offre un’altra “ultima occasione” costringendolo a giocare a rugby. In realtà non ha nessuna intenzione di condividere questa sua passione con il ragazzo e anche quando decide di farne un giocatore lo fa per un interesse egoistico (è veloce, forte e quindi potrebbe salvare la squadra).

Ecco perché questa non è una vera occasione manca ancora la capacità di vedere il ragazzo come un soggetto con una pari dignità di cui va rispettata l’integrità. In effetti uno dei tanti modi in cui si può violare l’integrità di un soggetto è l’imposizione di pratiche buone e necessarie (il rugby) ed ideologiche (imposizione del rugby da parte di una parte che lo ama a qualcun altro che lo fa per non andare in galera e successivamente per mostrare la forza/essere vincente).
Ricorda Juul nel libro “dall’obbedienza alla responsabilità” che per ottenere buoni risultati durante il nostro percorso di “assistenza” l’oggetto della nostra attenzione deve essere lo stesso del nostro studente o paziente o cliente. Dobbiamo essere lì dove si trova perché:

  • Nessuno può obbligare un altro individuo a crescere
  • Nessuno può crescere senza prima accettare se stesso per come è in quell’ambiente
  • Per un buon risultato si deve instaurare un rapporto saldo

Prima di accedere alla squadra infatti Samuel dovrà fare un lavoro su se stesso in termini di limiti e responsabilità personale e solo dopo potrà accedere alla squadra passando anche attraverso un iniziale rifiuto. Il ragazzo dovrà comprendere a livello di gioco ed al contempo esistenziale chi è come persona con i suoi bisogni, desideri ma anche limiti umani che necessariamente deve integrare per andare avanti e crescere nella sua persona. Dovrà assumersi la responsabilità di sé ma anche a comprendere che fa parte di una comunità sviluppando una responsabilità sociale che a quel punto non è più rinuncia a se stessi o resa ma visione di sé stessi come parte della “famiglia umana”.

Nel film questo si vede chiaramente quando Samuel ormai appassionato al gioco non riesce ancora a far parte della squadra e non riesce a passare la palla perché vuole farcela da solo. Ma proprio la capacità di comprendere che si vince/perde insieme è il tratto caratteristico di questo sport tradotto in quell’azione tipica del rugby di passare la palla indietro “ se so che l’unico supporto possibile è quello che può arrivarmi da dietro le spalle mi sento, appunto, spalleggiato, letteralmente con le spalle coperte, mi sento supportato, portato su, avanti … Il concetto di squadra sta in questa verità elementare: io devo supportare chi avanza”.

Ed infine c’è la comprensione del famoso terzo tempo2 Samuel dice “ma perché sta cosa?” in un modo che per lui è caratterizzato da vincitori e perdenti, forti e deboli, non esiste l’avversario sportivo ma il nemico e quindi gli risulta incomprensibile quello che è il cuore di questo sport cioè finito l’incontro non ho avversari ma persone, forse amici, con cui ho condiviso un’esperienza.
Senza anticipare troppo del film potremmo dire che l’esito di questo percorso è tradotto nelle belle parole che Samuel dice alla squadra nello spogliatoio in un momento critico della partita per motivarli offrendo stavolta lui un occasione non solo a se stesso ma anche agli altri:
“ Io non ci credo negli sfigati, nei perdenti, nei falliti. Vedere sempre le cose al peggio ti aiuta, ti protegge però ti puoi pure sbagliare”.